Open Source il rifugio contro dazi e geopolitica
Nel complesso scenario internazionale odierno, dominato da dazi altissimi e tensioni geopolitiche crescenti, il software open source si sta dimostrando una risorsa strategica, non solo tecnica. Non si tratta più semplicemente di preferire software libero per motivi etici o economici: il codice aperto è ormai un elemento di sopravvivenza tecnologica e una chiave di indipendenza per interi paesi.

Con l’imposizione di dazi pesantissimi, in particolare da parte degli Stati Uniti nei confronti della Cina, il mondo ha assistito a un’inaspettata destabilizzazione dei mercati. A essere colpiti non sono stati solo i settori tradizionali, ma anche quello tecnologico, spingendo nazioni come la Cina a rafforzare il proprio impegno nel mondo open source. In questo contesto, il supporto cinese a progetti Linux e alla comunità Apache non è più solo una questione di innovazione, ma una necessità strategica: proteggersi dalle limitazioni imposte dai monopoli stranieri e dalle eventuali sanzioni.
Open source, per la Cina, è diventato un’arma offensiva. Investire in Linux, RISC-V, Kubernetes e Docker significa costruire un’infrastruttura tecnologica autosufficiente, priva di vincoli legati a licenze costose o rischi di esclusione per motivi politici. Supportare il codice libero consente di evitare accuse di furto di proprietà intellettuale e contemporaneamente favorisce la competitività, rompendo l’egemonia di player occidentali.
Per contro, negli Stati Uniti, l’open source ha spesso avuto un ruolo difensivo. È emerso come risposta ai monopoli interni: Linux contro Microsoft, PostgreSQL contro Oracle, Kubernetes contro VMware. Anche oggi, il mondo open source viene promosso dai colossi americani, ma spesso più per convenienza che per ideologia. Basta pensare a TensorFlow di Google o React di Facebook: strumenti rilasciati liberamente, sì, ma con chiari interessi di standardizzazione del mercato a vantaggio di chi li ha creati.

In un mondo sempre più frammentato, dove la tecnologia può diventare strumento di pressione politica, il software libero rappresenta forse l’ultimo terreno neutrale. Chi contribuisce a Linux, ai progetti open source e alla cultura della condivisione, oggi partecipa non solo a un’evoluzione tecnologica, ma anche a una rivoluzione geopolitica. Una rivoluzione che potrebbe decidere il futuro dell’indipendenza digitale di molte nazioni.